Cinquanta sfumature di poliziesco

Il romanzo fluviale mescola il genere poliziesco, il rosa, il Grey in versione vodoo, il paranormale in una miscela caotica e improbabile.

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Delude “La Stazione” di Jacopo De Michelis, fantapoliziesco rosa dalle idee confuse

Abbiamo una nostra personale teoria. Il successo di un libro si misura dal tempo impiegato ad approdare nelle offerte speciali di Kindle. Se è così, il successo de “La stazione” (Giunti 2022), romanzo-fiume di Jacopo De Michelis salutato da una nota testata nazionale come “il romanzo dell’anno”, ha fatto una discesa assai rapida, quasi come nei sotterranei misteriosi narrati dalla storia, che mescola suggestioni differenti, rifacendosi anche al feuilleton ottocentesco. Il romanzo è ambientato all’inizio degli Anni Novanta, quando la Stazione Centrale era un luogo di perdizione, frequentata solo da viaggiatori e dropout, e provvista di un centro di ascolto comunale. Scenario adatto per immaginare un manipolo di reietti della società che si rifugiano nelle viscere della Terra. Ma c’è di più, e non avremo remore nello spoilerare. Abbiamo un eroe, il poliziotto Riccardo Mezzanotte detto Cardo, ex sfaccendato, ex punk, che alla morte del padre commissario decide di diventare un bravo poliziotto, ma viene esiliato in Polfer. Abbiamo un’eroina, la ricca Laura Cordero – il cognome vi ricorda qualcosa? – con una madre francese, Solange – il nome francese vi ricorda qualcosa? – vergine, timida e dotata del dono della chiaroveggenza (ecco qui un pizzico di Saramago). L’eroina va a lavorare al centro di ascolto e si incontra con l’eroe. Insieme affronteranno un’avventura più da Jules Verne in salsa esotica che poliziesca. Ah, c’è anche il Fantasma del sottosuolo, Adam, che rapisce l’eroina. La quale viene iniziata al culto di Mamy Wata, dea vodoo disinibita e amante della ricchezza sotto il cui segno sono poste le prostitute nigeriane. La nostra, da verginella attempata qual’è, grazie alla dea si trasforma in una donna sensuale e rapace, adatta a scalare con il vorace Cardo le vette dell’erotismo disinibito. E alla fine si stana anche il cattivo che aveva ucciso il commissario Mezzanotte, almeno quello un cattivo psicopatico ben ritratto. Un paio di grossi quesiti. Il primo: era proprio necessario inserire la storia di due fratellini ebrei che sfuggono alla deportazione per vivere quarant’anni nei sotterranei e generare un figlio incestuoso? Lo troviamo di pessimo gusto. Il secondo: la cospicua parte dell’antropologia nel romanzo. De Michelis afferma di aver letto un testo di Beneduce e di essersi avvalso della consulenza di Alessandra Brivio, deducibile dalla buona conoscenza delle dinamiche della possessione, e dei sintomi che contraddistinguono il chiamato (propri dello sciamanesimo). Vi è anche da dire che il nostro autore non risparmia alcune malignità. Il riferimento ai Cordero è la prima. L’antropologia è poi presente anche nel corso del romanzo, quando il nostro virile Cardo si reca nel realmente esistente Dipartimento di Scienze della Formazione della Bicocca, dove viene edotto sul vodoo dal professor Del Farra(ginoso?) attorniato da procaci assistenti che paiono essere lì non proprio per meriti accademici. Perché questa frecciatina? Ecco un altro mistero da risolvere.