Chi ha vissuto i tempi pionieristici di quello che allora si chiamava ancora Festival del Cinema Africano ricorda i percorsi acrobatici tra i vari cinema come il compianto Oberdan e il Centro San Fedele, cercando di incrociare luoghi, orari e titoli.
Ora con un pizzico di fascino in meno ma molta comodità e possibilità di vedere più film si possono coniugare le sale cinematografiche con quella di casa e godere di di una ricca scelta, circa i due terzi dei film del festival, offerti in streaming su My Movies contemporaneamente o quasi alle giornate di proiezione. L’offerta commerciale invoglia a iscriversi al canale cinematografico che da anni offre scelte non convenzionali e bouquet festivalieri per godersi queste e altre nuove uscite che sono preziose finestre sul mondo e di cui parleremo.
Spiccano tra le proeizioni iniziali due interessanti cortometraggi, Maieti di Daniele Caruso e Matteo Boscolo Gioachina, e Non piangere di Niccolò Corti, quest’ultimo in prima mondiale. Maieti fornisce uno spaccato di vita di una giovane diciassettenne di origine egiziana di religione copta, divisa tra i solenni riti del suo credo, che tanto riuniscono la comunità e riescono a bucare lo schermo, e la leggerezza di una vita adolescenziale fatta di chiacchiere e pochi pensieri, condivise anche con qualche coetaneo che come lei, ha la croce copta tatuata sul polso. Sicuramente non quei pensieri superiori alla sua età, almeno in questa Italia, che deve avere lei, occuparsi delle sorelle piccole per aiutare una madre apparentemente sola e lavoratrice su turni. Il film, realizzato da due allievi del Naba ed eccellente opera prima, ha ottenuto il premio Miglior cortometraggio Onde corte-Panorama ad Alice nelle città. Si svolge tutto tra la solennità dei riti avvolti dall’oro delle icone, le cene e le faccende quotidiane, le chiacchiere svagate e le piccole follie adolescenziali.
“Non piangere” si risolve in un oscuro, ultimo viaggio di una persona a cui la scarsità di posti disponibili per le sepolture musulmane non concede un riposo, se non di fortuna, e sicuramente non una cerimonia solenne. Ricorda tanto quegli schemi narrativi simili al noir in cui si deve scoprire l’autore di un delitto e si capisce infine che si tratta dello stesso protagonista. Qui il morto c’è, l’infrazione alla legge forse anche ma in realtà ciò che vi è da scoprire è l’identità della vittima di un sistema distorto, e con essa il disvelamento di un lutto a venire per un bambino che non dovrà piangere. Stiamo ancora a disquisire di moschee da costruire, o meglio da non costruire, ma abbiamo ancora problemi, in un’Italia in cui per l’articolo 9 della Costituzione le religioni sono tutte uguali davanti alla legge, a concedere l’ultimo atto di dignità che si deve a una vita umana trascorsa.
Sono mondi che condividono lo stesso territorio, e al tempo stesso mondi che non possiamo conoscere se non attraverso una macchina da presa. L’altrove è qui, ma è opaco se non per chi ha voglia di portarlo alla luce.