Un (commosso) ricordo di Marc Augé, etnologo della città.

Non ho mai letto l’Augé africanista e strutturalista, lo confesso. Ho iniziato a leggerlo con l’uscita di Un etnologo nel metrò, pubblicato in Italia da una casa editrice di nicchia, Eleuthera, e l’ho subito adorato. In quegli anni iniziavo a studiare antropologia, mi piaceva così tanto che l’ho biennalizzata, ci ho aggiunto antropologia economica, ci ho fatto la tesi di laurea. Quando sono andata a Parigi per un soggiorno Erasmus, la mia bibbia era proprio il libro di Augé. Poi sono usciti i Nonluoghi. Grazie ad Augé è nata la mia passione per l’antropologia dello spazio, su cui ho svolto la mia tesi di dottorato. Sono passati parecchi anni ma è sempre una soddisfazione quando vedo che qualcuno su Academia la legge.

Infine Nonluoghi, seguito poi da Disneyland e altri nonluoghi (Bollati Boringhieri) lì secondo me Augé non aveva del tutto ragione, anche il supermercato può essere un luogo, anche un albergo o un distributore di bibite. Augé sottovalutava le abitudini, i gesti, le relazioni, l’inserzione in contesti più ampi.

Oggi riscriverei la mia tesi dicendo che non dobbiamo dare tutta questa importanza ai centri. E’ il gioco delle élites e degli architetti, dei poteri, ma ciò che è altrettanto importante è la volontà delle persone di costituire luoghi abitabili per loro stesse in periferie, nicchie, sobborghi autonomi e dotati di vita, simboli, contesti e modalità di relazione propri. Lo spazio non è così ordinato strutturalmente, ci sono continui tentativi di eversione che vanno colti, e in questo senso hanno lavorato altri antropologi come Agier. Un cortile del Giambellino o di Quarto Oggiaro con i loro ricordi di infanzia e adolescenza, di vite difficili, di murales, di spaccio e sentinelle, di mamma chiamata al balcone, ci parlano altrettanto di una Piazza Duomo con i suoi funerali di Stato. Là dove Augé non è arrivato ci aiutano a proseguire le TAZ di Hakim Bey, le eterotopie focaultiane, i percorsi di De Certeau e la sua invenzione del quotidiano.

Il grande merito di Augé è stato quello di smarcarsi dal saggio accademico rigidamente strutturato per tesi e dimostrazioni, e usare l’antropologia per fondare un tipo diverso di letteratura, una letteratura etnologica basata su una robusta griglia e metodologia di osservazione e interpretazione, ma anche con una sua poetica, con un quid soggettivo imponderabile, nel quale la soggettività dell’osservatore c’è anche se non si vede.

Se è criticabile, è anche perché le sue tesi stimolano e chiamano alla sfida, alla verifica, e la loro falsificazione è ad ogni modo l’omaggio ad un maestro che con le sue teorie ha portato l’antropologia dello spazio in Europa.

Una volta l’ho visto alla presentazione di Disneyland e altri nonluoghi con Giulio Giorello. Allora non era ancora così famoso e c’erano poche persone, era più un incontro per pochi estimatori. Una grandissima emozione vedere questi due maestri insieme. Augé così pacato e strutturato, Giorello al suo solito così intellettualmente erratico e svolazzante.

Quando andate a Parigi, non mancate di acquistare gli esili e densi libri di Augé. Sono tra le guide migliori. Anche la Traversée du Luxembourg, che considera il parco come parte integrante del contesto urbano. I francesi sono ancora così capaci di colonizzare, addomesticare, piegare ogni spazio, anche i più solenni, assoggettandolo ai tempi quotidiani della pétanque.

Leggere questi testi può aiutarci ancora moltissimo nell’interpretare lo spazio che abbiamo intorno.

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