Dieci giorni al ritmo di hard boiled

Il sorprendente film di Netflix tratto dal noir di Mehmet Eroglu ci porta alla scoperta di un erede turco di Marlowe

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Netflix può essere paragonato al limo di un fiume dove setacciare pazientemente l’oro dal fango. Tramite una certosina e accorta opera di richiamo di algoritmi che mira all’apertura di nuovi territori visivi, si possono scoprire autentici gioielli provenienti da altri continenti. Il tutto sta nell’ampliare le nuove esplorazioni. Uno dei territori più sorprendenti si rileva essere quello turco, con serial che si rivelano autentici ponti culturali tra Occidente e Oriente. Se con “Ethos” scoprivamo che la psicoanalisi non è ignota in Turchia, con “Dieci giorni tra il bene e il male”, tratto da un romanzo di Mehmet Eroglu, scopriamo un grande scrittore che, benché abbia condiviso nel 1978 il premio letterario di Milliyiet con Oran Pamuk, non è altrettanto conosciuto in Occidente. Lui, al contrario, l’Occidente lo conosce bene, tanto da costruire un noir (è anche lo sceneggiatore del film), che al tempo stesso gioca con i tipi narrativi dell’hard boiled classico, in una consultazione immaginaria di Sadik, il protagonista, con Marlowe, e con la morale dostoievskiana, utilizzando in modo tacito ma raffinato le tipologie psicologiche della vittima buona e del narcisista manipolatore. Sadik, avvocato, orfano di origine, ha accettato di rovinare la sua carriera pur di levare la moglie, avvocata anch’essa, da un brutto affare, per esserne poco dopo abbandonato. Divenuto investigatore privato, accetta di trovare un ragazzo scomparso alzando il velo su di un vespaio di commistioni tra bene e male in ogni possibile declinazione, perdendo la sua innocenza alla fine della storia e trovando la felicità. Il complesso dell’infermiere può rivelarsi una trappola, soprattutto, si sa, nei confronti del partner. La caduta agl’inferi può avere però il vantaggio di un antidoto ai successivi tranelli della vita. Eroglu suona il sax, e il suo eroe dannato e riscattato dalla perdizione, insieme alla sua eroina, una Maddalena pura che non può non ricordare la Charo di Montalbàn, conta le attese della vita in modalità allegro, andante, grave, come un bambino che ha conservato qualcosa dell’incantamento originario.

Ancora una volta ci troviamo a stupirci di questa Turchia che ci conosce. Noi, occidentali, crediamo di essere contenuti da un sapere che ci radica nella nostra storia, ma questo sapere, sia più (Dostojevski ) o meno (Marlowe) elitario, circola su scala globale e chiunque se ne può appropriare e lo può assimilare. Mentre siamo noi a non conoscere Hafez, Abu Nuwas, Darwish, e lo stesso Eroglu. Ma felice, seppur capitalistica, può rivelarsi la circolazione di immagini su scala globale.